INTRODUZIONE

Il mio primo impatto con l’Optometric Extension Program, e con il mondo dell’Optometria Comportamentale in genere, avvenne nel 1981 grazie ad un casuale incontro con colleghi Statunitensi.
Fui immediatamente colpito dall’innovatività della metodologia che si differenziava notevolmente da quanto potevo leggere nei testi di ottica fisiopatologia e di esame rifrattivo. Iniziai subito a dedicare il tempo libero allo studio e alla comprensione dei concetti dell’Optometria Comportamentale e come accaduto a molti altri colleghi, ben presto mi resi conto che l’argomento era molto più vasto di quanto potessi supporre: non si trattava di imparare l’uso di uno strumento, o l’esecuzione di un metodo clinico, ma di comprendere un modo radicalmente diverso di valutare, diagnosticare e classificare i problemi visivi funzionali.
La vasta letteratura dell’ Optometric Extension Program si rivelò utilissima ma per digerire il differente approccio metodologico, clinico ed attitudinale che caratterizzava l’ Optometria Comportamentale rispetto a quella tradizionale fu indispensabile trascorrere molto tempo al fianco di colleghi Statunitensi che avevano dedicato la loro vita professionale a tale approccio.
Contrariamente a quanto mòlti credono, aver precedentemente dedicato molto tempo alla fisiologia ottica ed a tutte le altre metodiche cliniche di Optometria-Oftalmica non è stato tempo sprecato per capire l’Optometria Comportamentale. In realtà, l’Optometria Comportamentale non è necessariamente, come purtroppo spesso si crede, un’alternativa all’Oftalmologia tradizionale. Le due filosofie di lavoro non sono fra loro alternative, bensì complementari.
I concetti funzionali e comportamentali possono essere molto meglio capiti ed applicati se l’esaminatore possiede anche un’ adeguata conoscenza degli aspetti neurofisiologici della visione. Al tempo stesso, le sole conoscenze di anatomo-fisio-patologia non sono sufficienti ad affrontare in modo efficace tutte le situazioni cliniche che si presentano, in particolare quando la propria attenzione non è solo compensativa ma anche preventiva, migliorativa e rieducativa.
Il modello visivo funzionale e comportamentale ha già compiuto oltre mezzo secolo: migliaia di specialisti in tutto il mondo lo utilizzano durante la loro attività quotidiana come modello professionale attraverso il quale analizzare ed interpretare i sintomi ed i problemi visivi delle persone che a loro si rivolgono. Tuttavia, l’evidenza dei fatti mostra che lo sforzo ed il contributo di una mole pur enorme di lavori clinici, ricerche, convegni e pubblicazioni non è stata sufficiente a permettere che i concetti funzionali, seppur dinamici ed innovativi, potessero entrare nel modello abituale di lavoro degli operatori sanitari coinvolti con il problema del “vedere”.
Sbagliato è volere incolpare una categoria professionale: infatti, la mancanza di conoscenze sull’argomento è dimostrabile nella maggior parte dei componenti di )tutte le professioni
coinvolte.
Non è nemmeno un problema di disponibilità
economica, di mancanza di strumentazione,
di strutture o di mezzi, poiché è evidente che
la tecnologia ha effettuato passi molto più rapidi
e concreti di quanto non abbiano fatto i
metodi di insegnamento e di aggiornamento
professionale.
Ritengo che il problema vada ricercato nel
fatto che 1’Ottica non è cresciuta come
avrebbe dovuto e potuto e l’Oftalmologia ha
palesemente trascurato gli aspetti funzionali
restringengo la propria valutazione di routine
ad aspetti banalmente refrattivi e patologici.

MODELLO CLASSICO
E MODELLO FUNZIONALE

La differenza fra il modello visivo tradizionale e quello funzionale, spesso rispettivamente definiti, in letteratura oftalmica Nord-Americana, anche con i termini di “approccio medico” ed Ilapproccio optometrico”, è stata illustrata e riassunta in numerosi editoriali e pubblicazioni concettuali, professionali e filosofici (Blume, Bartlett e Alexander2, 1980).
Il modello Itradizionale” è basato sulla cultura medico-scientifica degli ultimi due secoli. In ambito oftalmico si riferisce alla soluzione dei problemi ed al miglioramento dello stato di salute e grazie alla ricerca scientifica ha raggiunto enormi conquiste nella cura delle malattie oculari e dei sintomi ad esse associate. Per contro, la soluzione di problemi visivi funzionali è spesso limitata a metodi compensativi, più orientati al sinto che alla causa. Per esempio, in presenza di una miopia incipiente vengono spesso semplicemente prescritte lenti negative senza valutare gli aspetti comportamentali, ambientali, ergonomici e funzionali che possono averla provocata e che possono contribuire ad un suo peggioramento.
Il termine “funzionale”, nel contesto sanitario, implica che il trattamento è concepito in modo· tale da considerare l’individuo nel suo insieme, anziché nelle sue singole parti anatomiche o costituzionali, ed è diretto al miglioramento della performance globale piuttosto che al miglioramento dello stato di salute di uno specifico organo o parte del corpo. Maturato grazie a ~ontributi multi-disciplinari, ha orientato le proprie attenzioni verso la soluzione di quei problemi che pur non essendo patologici producono limitazioni nella funzionalità e nella performance dell’individuo.
La terapia funzionale, sia essa curativa, migliorativa o rieducativa, deve quindi prendere in considerazione aspetti fisici, fisiologici, psicologici, così come variabili socio-economiche e culturali che possono essere coinvolte o influenzate dal problema che presenta l’esaminato.
È in questo contesto che in ambito oftalmico la prescrizione di lenti viene interpretata come un contributo non solo compensativo ma principalmente preventivo e migliorativo. Sbagliato è voler considerare uno dei due modelli sostitutivo dell’ altro. È evidente che i due modelli possono, e dovrebbero, integrarsi reciprocamente proponendo soluzioni personalizzate in relazione alla natura ed al tipo di problema visivo.
Il modello tradizionale è indispensabile per un’ efficace terapia delle patologie e di certi sintomi ad esse associati ma obsoleto nel voler semplicemente compensare inefficienze e disfunzioni che invece potrebbero essere più efficacemente prevenute o riabilitate.

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Euvision – Numero 1 – 2005 

Vittorio Roncagli